Come coniugarli in un’esperienza concreta ed efficace per creare reale valore per tutti.
Roberto Monti ha intervistato per Direzione del Personale, la rivista di AIDP, Antonio Vitale, Vice Presidente e consigliere di amministrazione di inTEC Cooperativa Sociale.
di Roberto Monti, Sales Manager e Partner VisionMind
L'intervista a Antonio Vitale è stata pubblicata dal trimestrale AIDP Direzione del Personale nel numero di Marzo 2024 (a pag. 40). La Redazione di DdP ci ha gentilmente concesso la riproduzione.
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Dr. Vitale, partiamo dalle motivazioni: cosa l’ha mossa a intraprendere quello di cui si sta occupando oggi? Quali spazi ha visto per i quali si è detto “Lì c’è molto da fare, e io posso dare un contributo di valore”?
«Ci sono dei momenti nella vita in cui capisci che è arrivato il tempo di liberare quelle cose che avevi nella testa da tempo e che avevi tenuto lì, nello spazio più intimo dei tuoi pensieri. Ci sono delle riflessioni che fai sul significato da dare ad un ulteriore pezzo della tua vita, che fai fatica ad immaginare solo riempito dal disimpegno del tempo liberato dal lavoro. E così, tra una spinta ideale e la briglia sciolta ai sentimenti, decidi che puoi restituire, in tutto o in parte, quanto di buono hai ricevuto fino a quel momento dalla vita; e realizzi che quello che hai da offrire, almeno nel campo del lavoro, è quello che pensi di saper fare.
Questo sotto il profilo delle motivazioni più personali.
Sotto il profilo della ragione che dà corpo ai pensieri, la scelta cade su una esperienza nel mondo del non profit, il terzo settore che cresce e si trasforma in una logica di impresa sociale che si misura con bisogni sempre più estesi e articolati, costruendo relazioni con le istituzioni pubbliche e il mondo del privato, cercando nuovi equilibri organizzativi ed economici, fuori da una visione prevalentemente volontaristica, sussidiata e di corto raggio.
Inizio a collaborare con L’Impronta, un gruppo di onlus e cooperative sociali nato oltre 20 anni fa nella periferia milanese di Gratosoglio, che opera nel campo dell’inclusione socio-educativa e lavorativa di persone con disabilità (prevalentemente psichica) e fragilità. Parto con un percorso di formazione dedicato allo sviluppo delle competenze manageriali dei responsabili delle diverse aree di intervento del Gruppo; in uno dei vari momenti di confronto con Andrea Miotti, presidente de L'Impronta, ci chiediamo se la tecnologia digitale possa diventare una occasione di inclusione lavorativa e decidiamo così di lanciare la sfida del progetto Tecnologia Inclusiva, fondando a settembre 2021 la cooperativa sociale inTEC di cui sono socio volontario ».
Come opera inTEC, quindi, nel concreto? Quali sono gli obiettivi che si pone?
«Occorre innanzitutto dire che una cooperativa sociale ha, sulla base della legge che le regola, lo scopo principale di perseguire l'interesse generale della comunità alla promozione umana e all'integrazione sociale dei cittadini attraverso lo svolgimento di attività diverse – agricole, industriali, commerciali o di servizi – finalizzate all'inserimento lavorativo di persone svantaggiate.
In concreto con il progetto Tecnologia Inclusiva, che dà vita ad inTEC, ricerchiamo, formiamo e assumiamo giovani con fragilità e svantaggi di diversa natura per ricoprire il ruolo di software tester, proponendoci alle aziende/funzioni dell’Information Technology come fornitori di servizi professionali di software testing.
Completa la nostra offerta di servizi alle aziende un team per la realizzazione di schede prodotto ed uno per la delivery green di prodotti per imprese/canali di e-commerce.
Il percorso formativo delle competenze di software testing è completamente gratuito e comprende formazione in aula, tirocini curriculari, assegnazione di pc, accesso a piattaforme di e-learning e materiale didattico».
Antonio Vitale è un manager di grande esperienza che vanta un prestigioso curriculum alla guida delle risorse umane di diverse global company nel mondo IT. È anche una persona pragmatica e sensibile, e una volta lasciata l’azienda per andare in pensione si è posto la domanda sul modo più utile a se stesso e alla comunità per riempire gli anni a venire, mettendo a disposizione le sue competenze e le sue motivazioni.
Oggi è Vice Presidente e consigliere di amministrazione di inTEC Cooperativa Sociale (gruppo L’Impronta) nonché suo rappresentante legale.
Il mondo delle aziende come reagisce alle vostre sollecitazioni di coinvolgimento? Quali sono le difficoltà che incontrate più spesso e come fate a superarle?
«Devo dire che tutti i contatti che abbiamo avuto finora con le imprese hanno sempre suscitato un particolare interesse dovuto alla concretezza della nostra proposta: essere attivi sul piano delle politiche di responsabilità sociale non attraverso le solite forme di charity o di volontariato dei dipendenti su temi generici ed in forma episodica, ma attraverso una partnership sociale fondata sulla fornitura di servizi coerenti con le finalità dell’azienda.
Certamente abbiamo trovato più attenzione da parte di quelle imprese, diventate ora nostre clienti, che avevano politiche di responsabilità sociale non soltanto dichiarate e che avevano potuto verificare la qualità del nostro percorso formativo e la preparazione dei nostri allievi; a questo si aggiunge la sensibilità sociale degli interlocutori che abbiamo incontrato, senza la quale non sarebbero state sufficienti le sole intenzioni di social responsibility.
Le difficoltà che incontriamo stanno nella stessa ragione dell’interesse che suscitiamo: a volte passa in secondo piano il percorso fatto dai nostri giovani, i gap di apprendimento e competenze colmati con caparbietà e voglia di riscatto, l’investimento fatto da inTEC per la loro promozione umana e professionale.
Si tende, involontariamente, a scivolare verso un “normale” rapporto di fornitura di servizi, senza considerarne il grande valore sociale incorporato nei risultati aziendali.
Intendiamoci, noi non abbiamo mai chiesto “sconti” sulla qualità delle competenze e delle performance o privilegi sulle tariffe di mercato, ma dobbiamo difendere il valore sociale e umano creato e incorporato nelle aziende clienti».
Vi rivolgete a un mondo giovanile che parte spesso da condizioni di svantaggio, ad esempio per disabilità personali, o vissuti di disagio famigliare o sociale: come selezionate i vostri candidati, e come li coinvolgete? Fate loro formazione?
«Nella nostra prima presentazione del progetto Tecnologia Inclusiva c’era una slide intitolata “Includere chi?”; il senso della domanda era quello innanzitutto di uscire dalla genericità d’uso del termine “inclusione” (parola impoverita dall’uso intensivo e retorico), dandogli una connotazione di merito collegata a precise categorie.
In questa prospettiva individuavamo i giovani con disabilità (in particolare quella psichica), i giovani NEET (non impegnati nel lavoro, lo studio e la formazione), le giovani donne. Già nel corso della prima fase di selezione dei candidati al primo progetto ci siamo resi conto che i bisogni sociali di inclusione lavorativa del mondo giovanile erano molto più ampi e che si estendevano fino all’ampia gamma delle disuguaglianze di genere, di origine o a quelle causate dalla povertà economica e culturale, dalla dispersione scolastica, dalle condizioni di salute mentale e dalle problematiche giudiziarie.
Nei colloqui di selezione dei candidati al percorso formativo valutiamo l’attitudine verso le tematiche digitali, le capacità nei rapporti interpersonali e nel lavoro di gruppo, la propensione all’assunzione di responsabilità, la curiosità/proattività verso il nuovo e soprattutto il senso di riscatto personale che il lavoro rappresenta per ognuno di loro.
Per la ricerca utilizziamo la rete dei canali sociali del mondo del non profit e del volontariato, le istituzioni pubbliche e le strutture socio-sanitarie. Una volta formata la classe (si va dai 12 ai 15 allievi) inizia la fase di formazione in aula di 480 ore e quella di tirocinio curriculare di 320 ore.
La formazione, condotta da Pasquale Gangemi socio volontario di inTEC, è costituita da una prima fase che mira ad omogeneizzare le conoscenze informatiche degli allievi ed una seconda fase che si concentra sulle conoscenze di software testing, secondo gli standard di competenza internazionali dell’ISTQB.
La sensibilità e la pazienza didattica di Pasquale consentono ai nostri giovani di entrare nel mondo dell’Information Technology per gradi ed in modo concreto; riusciamo a completare il percorso formativo con una piattaforma di elearning, giornate di formazione sulle soft skill e sullo sviluppo personale attraverso le donazioni di società ed associazioni come Vision Mind, Talento e Sodalitas.
Il tirocinio curriculare è svolto presso le aziende partner del progetto che hanno così modo di vedere all’opera i ragazzi, premessa indispensabile per costruire l’eventuale successiva relazione di fornitura di servizi».
Pare di capire quindi che l’idea di partenza si trovi nell’area del volontariato per innestarsi in logiche sia sociali che di mercato. È così?
«La missione di inTEC è dimostrare come la tecnologia digitale possa diventare un’opportunità di inclusione lavorativa per giovani che, per svantaggi e fragilità di diversa natura, non avrebbero una chance occupazionale in questo mercato, pur essendo motivati ad accedervi; nello stesso tempo contribuire alla riduzione dello skill mismatch di competenze digitali, valorizzando potenziali nascosti.
inTEC, dunque, nasce per dare risposte al bisogno di lavoro dei giovani (il tasso di occupazione giovanile in Italia è tra i più bassi in Europa) incrociandolo con il mercato del lavoro digitale che non trova competenze in quantità e qualità adeguate.
Realizziamo questa finalità da una porta di ingresso, il software testing, che, privilegiando un approccio metodologico ai processi di quality assurance del software, ci consente di portare a bordo giovani che possono non avere studi attinenti lo sviluppo del software».
Per essere ancora più chiari, le aziende cui vi rivolgete perché dovrebbero essere interessate alle vostre attività? Quali convenienze potrebbero trovare?
«inTEC è innanzitutto una impresa sociale che persegue lo scopo dell’inserimento lavorativo di giovani svantaggiati attraverso una offerta di servizi professionali IT che rispecchia le condizioni qualitative ed economiche di mercato. Questo significa che i nostri clienti non solo acquistano servizi a condizioni di mercato ma acquisisco43 no anche valore sociale da “distribuire” ai loro stakeholder.
La nostra “convenienza” risiede nel fatto che, a parità di costi con servizi analoghi, le aziende clienti portano a casa di più. È evidente che questa opportunità viene colta maggiormente da quelle imprese che hanno una politica di responsabilità sociale autentica o da quelle che si stanno muovendo consapevolmente verso una prospettiva di stakeholder company (società benefit), in cui avere fornitori che perseguono finalità sociali ha valore per gli azionisti, i clienti, i dipendenti, le comunità nelle quali operano.
Oltre che su un piano di prospettiva e di tendenza, vi sono anche benefici di ordine tattico, come la possibilità di soddisfare i requisiti di assunzione di persone con disabilità attraverso l’appalto di servizi ex art 14 D.Lgs 276/03, la riduzione del mismatch di competenze sul mercato del lavoro digitale attraverso un ulteriore canale di recruiting senza costi, la possibilità di disporre di personale già formato nel software testing con corrispondente risparmio dei costi di formazione, la possibilità di applicare la detrazione del 5 per mille sul monte retributivo per prestazioni del proprio personale rese a favore di organizzazioni non profit.
Quello che dunque proponiamo alle aziende è di diventare loro partner sociali per dare corpo alle loro politiche di CSR nell’ambito del loro business e facendoci carico del processo e dei costi di inclusione».
Immaginiamo che all’interno di tutto questo ragionamento siano poi le storie individuali a contare, le opportunità in cui i giovani vengono coinvolti, cercando anche di migliorare esperienze di vita di per sé complesse. Tra le tante, ci può raccontare brevemente un caso significativo di successo, e uno di segno opposto? Perché a volte funziona e a volte no?
«È difficile sceglierne uno perché ogni storia dei giovani che stanno partecipando al nostro progetto andrebbe raccontata. Usando dei nomi di fantasia, potrei parlare di Zayan che insieme a suo padre sbarca come tanti immigrati sulle coste italiane e che, nonostante i suoi studi informatici, si trova a dover fare nel nostro paese lavori precari e mal pagati nella ristorazione; oggi Zayan lavora come consulente informatico per un grande progetto nel settore Utilities, ha un regolare contratto di lavoro a tempo indeterminato, ha migliorato tantissimo il suo italiano e contribuisce agli studi di sua sorella rimasta con la madre nel paese di origine.
Tra i casi di insuccesso citerei quello di un abbandono anticipato del percorso di formazione, dovuto principalmente alla carenza di integrazione tra noi e chi seguiva la persona sotto il profilo del percorso psicoterapeutico, a dimostrazione che oggi è estremamente importante lavorare in team dove le varie competenze si integrano al fine di raggiungere i risultati attesi».
Quali sono gli obiettivi di inTEC nei prossimi anni? E i suoi?
«Partirei dai risultati che abbiamo già raggiunto con la prima edizione 2022: oggi 11 dei 12 allievi che avevano concluso il percorso formativo, lavorano nel mercato IT e di questi 9 sono stati assunti direttamente dalla nostra cooperativa.
Per l’edizione 2023 si sono conclusi con successo i 10 tirocini curriculari del percorso formativo ed ora stiamo definendo importanti rapporti di fornitura che ci porteranno ad assumere, come mi auguro, un numero significativo di allievi nel corso del primo semestre dell’anno.
Nel frattempo, siamo impegnati con la terza edizione del Progetto Tecnologia Inclusiva che ci auguriamo possa raggiungere gli stessi risultati dei primi due.
Per quanto mi riguarda questa esperienza di general management in una impresa sociale mi sta dando l’opportunità professionale di coprire tutti gli aspetti della gestione aziendale, non diversamente da una azienda profit, ma soprattutto mi dà la possibilità di mettermi al servizio della comunità attraverso un impegno civile che credo tutti dovremmo sperimentare, nelle varie forme possibili, per affermare i nostri diritti ma anche i nostri doveri di cittadinanza attiva.