Dall’esperienza di David Covey, alcuni suggerimenti pratici per vivere una vita personale e professionale molto più soddisfacente.

di Barbara Calvi, Managing Director e Partner VisionMind
L'intervista a David Covey è stata pubblicata dal trimestrale AIDP Direzione del Personale nel numero 212 di Marzo 2025 (a pag. 40). La Redazione di DdP ci ha gentilmente concesso la riproduzione.
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Ci conosciamo da moltissimi anni e gli scambi e i confronti con lui sono sempre stati estremamente interessanti e stimolanti. In questa chiacchierata ci parla proprio del libro, edito in Italia da FrancoAngeli, Trap tales. Riconoscere ed evitare le 7 trappole nascoste nella vita e nel lavoro e delle implicazioni che il concetto di trappola ha nelle organizzazioni, a 360°.
David, bentrovato, e grazie di aver accettato il nostro invito. Partiamo proprio dal libro che, tra l’altro, è stato recentemente pubblicato anche in italiano: perché lo hai scritto, e per chi?
Grazie a voi, intanto, per avermi coinvolto. È davvero un piacere per me “parlare” al pubblico italiano.
La tua è una domanda difficile cui rispondere. Probabilmente per un insieme di fattori, ma, scegliendone uno, direi il desiderio di condividere il risultato degli studi e degli approfondimenti che abbiamo condotto con Stephan Mardyks negli anni in una forma e con una struttura che non risultasse noiosa o difficile da seguire.
Nel corso della mia vita ho avuto l’opportunità di leggere numerosi libri sul tema dell’efficacia personale e sul self-help, ma spesso li ho trovati eccessivamente descrittivi o prescrittivi, senza una reale capacità di mantenere vivo l’interesse con lo scorrere delle pagine.
Sono profondamente convinto che la conoscenza, l’apprendimento, siano più semplici se ci si sente coinvolti.
Ho provato, quindi, a scrivere una storia divertente, scorrevole che, attraverso le vicende di Alex (il protagonista) e dei personaggi che interagiscono con lui, porti i lettori a riflettere sulle diverse trappole che tutti ci troviamo ad affrontare e sugli impatti che hanno nelle nostre vite. In effetti mi è piaciuto molto scrivere questo libro e per certi versi è stato semplice, visto che Alex ha ereditato da me una buona parte di caratteristiche, e non necessariamente le migliori!
Alex, la sua famiglia, il suo amico Chaz e Victoria, che sarà così importante per lui, sono persone che hanno comportamenti familiari, normali, in cui ci possiamo ritrovare o che possiamo ritrovare nelle persone che conosciamo.
Era questo il mio obiettivo: mostrare a chiunque avesse voglia di leggere questo libro che le trappole sono parte della nostra vita, accadono, ma che possiamo imparare a conoscerle e magari, se possibile, evitarle o aiutare gli altri a farlo.
Hai nominato diverse volte a parola trappola: cosa intendi?
E quale relazione ha questo concetto con i messaggi chiave contenuti in questo libro?
Il concetto di trappola in effetti mette insieme alcuni elementi diversi.
Partiamo dalla parola. Trappola arriva dal mondo degli scacchi. Negli scacchi infatti buona parte della strategia che i due giocatori mettono in campo ha a che fare con il creare o evitare di cadere nelle trappole; le trappole degli scacchi hanno nomi bellissimi e molto fantasiosi: trappola dell’elefante, trappola siberiana, trappola della canna da pesca...
Passiamo ora a una riflessione che arriva dal mondo delle scienze sociali. Sicuramente conosci Kurt Lewin e il suo modello Field Force Analysis; ebbene Lewin ci ricorda che ogni volta in cui intraprendiamo un percorso di cambiamento, dobbiamo tenere in considerazione sia il punto di partenza che quello di arrivo, ovvero dove siamo, e dove vogliamo arrivare, con i conseguenti impulsi di spinta, come ad esempio le azioni intraprese, ma anche le forze di resistenza contrarie.
Durante il mio percorso professionale ho notato che la maggior parte dei business e la maggior parte delle persone che lavorano nelle organizzazioni, e non solo, si concentra unicamente sugli impulsi di spinta. Non c’è nulla di male. È un atteggiamento corretto, positivo. Ma quello che accade è che, se siamo unicamente concentrati sugli impulsi di spinta e non ci preoccupiamo delle forze contrarie, la nostra iniziativa o il nostro obiettivo farà molta fatica ad essere raggiunto. Non possiamo, infatti, esprimere il nostro pieno potenziale perché ci concentriamo solo su una delle due forze.
Ecco le forze contrarie sono le trappole in cui cadiamo. Mi ha colpito molto riflettere sul fatto che la vita non sia solamente agire, ma che sia anche rimuovere gli ostacoli. È un po’ come guidare un’automobile: puoi anche mettere un piede sull’acceleratore, ma se hai l’altro sul freno non vai da nessuna parte.
Naturalmente, nel corso dei nostri studi, ne abbiamo individuate molte estremamente diffuse, 34, per l’esattezza. Ma come ben sai sono un Covey e non potevo non cedere al fascino del numero 7... Per cui abbiamo selezionato con Stephan le più ricorrenti, quelle a maggiore impatto. Il libro le racconta e le legge con una lente più personale, legate alla sfera delle relazioni quotidiane, delle scelte, dei percorsi di lavoro, del rapporto con i soldi, della chiarezza di obiettivi che ci poniamo nella nostra vita.
Non dobbiamo averne paura, né far finta che non esistano. Tutti noi in qualche modo ne subiamo il fascino. È importante però riconoscerle, e cercare di capire come uscirne o evitarle in futuro. Questa è la storia di Alex. Questo il messaggio del libro.
David Covey
È uno speaker di fama mondiale che ha parlato di fronte a platee, aziendali e non, in tutto il mondo ed è stato nominato da Ink Magazine uno dei 100 speaker più influenti sul tema leadership.
È CEO e fondatore di SMCovey, società che si occupa di gestire licenze a livello internazionale e che opera in 80 paesi a livello mondiale, ed è stato COO in FranklinCovey.
È profondo conoscitore delle organizzazioni e dei sistemi interni ed esterni che le regolano, ma fin dai tempi di Harvard, dove ha conseguito un MBA, non ha mai smesso di studiare e approfondire, oltre agli aspetti più squisitamente aziendali, quelli legati alle persone, ai loro comportamenti, alle relazioni.
Trap Tales: Outsmarting the 7 Hidden Obstacles to Success, il libro di cui è co-autore insieme a Stephan Mardyks, ben rappresenta questo duplice focus di interesse.
Quando hai pensato che si sarebbe potuto trasformare anche in un workshop aziendale? Per quale motivo lo hai fatto?
L’evoluzione di TrapTales in Trapologist at Work©, ovvero nel workshop aziendale, è stata piuttosto naturale. In fin dei conti prima che professionisti, manager, siamo persone e ci comportiamo al lavoro spinti dalle stesse forze che regolano la nostra vita privata.
Le aziende stesse sono in qualche modo “organismi viventi” in cui possiamo ritrovare le logiche e i bisogni che regolano le nostre relazioni familiari: la chiarezza di obiettivi, la capacità di focalizzarsi su attività ad alto valore aggiunto, il pensare come team e non come individui e così via. Naturalmente ho messo, nel disegnare il workshop, l’esperienza sul campo che ho accumulato negli anni, le riflessioni, i confronti, l’analisi dei bisogni che ho raccolto a tutti i livelli.
Mi è stato chiaro, quindi, che le stesse trappole che affrontiamo nella nostra vita sono presenti in ambito lavorativo e che, esattamente allo stesso modo possiamo imparare a riconoscerle e ad evitarle e aiutare gli altri, come responsabili o colleghi, a fare altrettanto. Busyness, Procrastination, Ego, solo per citarne alcune, sono certamente presenti e pervasive e sono sicuro che i lettori si ritroveranno a pensare a diverse circostanze in cui le hanno sperimentate in prima persona o sono stati testimoni di comportamenti guidati da esse.
Quali sono le reazioni che più tipicamente riscontri nelle aziende e quali le trappole che vengono maggiormente riconosciute come rilevanti?
Come dicevo ho scritto Trap Tales e disegnato il workshop con il desiderio di dare un supporto, fornire il mio contributo nel dare una prospettiva di lettura diversa al concetto di cambiamento, efficacia, miglioramento continuo. Le trappole sono 7: tre di queste sono incentrate sull’individuo, tre hanno un focus sulle interazioni con il team e con le altre persone, e una ha un focus sulle interazioni con l’azienda, a livello più ampio.
Ogni qualvolta mi sono ritrovato a parlare di questo in diversi contesti aziendali ho avuto eccellenti riscontri. Soprattutto sono state apprezzate la chiarezza e la linearità del processo di cambiamento proposto, unite a un forte pragmatismo e la possibilità di offrire alle persone, all’interno dello stesso programma, di esplorare, capire e poi scegliere dove e come agire rispetto alle loro esigenze. Il processo su cui si fonda Trapologist at Work© parte dal prendere consapevolezza delle trappole in cui più frequentemente cadiamo, richiede di quantificare l’impatto, fa riflettere su come normalmente le gestiamo e poi fornisce spunti per pensare in maniera completamente alternativa, per modificare il nostro mindset e risolvere in modo differente. Che si tratti di un gruppo eterogeneo oppure omogeneo, per età, ruolo, dipartimento, in diversi luoghi del mondo, o con diverse complessità aziendali, ognuno riconosce la libertà di individuare le proprie trappole, magari più o meno comuni anche ad altri, e lavorarci, quindi, per trovare una soluzione ad hoc.
Nel programma, esattamente come nel libro, abbiamo identificato i comportamenti più comuni e abbiamo cercato di offrire soluzioni a lungo termine, che possano risolvere i problemi. Siamo andati alle radici. Il modo per risolvere quei problemi non è semplicemente gestire i sintomi, è necessario andare alle radici dei problemi.
Venendo alla tua domanda rispetto alle trappole più rilevanti in azienda, certamente dipende dal tipo di settore e dall’area organizzativa o dalla storia/cultura dell’azienda, ma posso condividere che 3 importanti sono sicuramente Busyness, ovvero la trappola del perdersi in cose trascurabili, Silo, ovvero l’operare come singolo in un team perdendo di vista gli obiettivi comuni e i reciproci impatti e Settling, ovvero perdere passione e coinvolgimento nel proprio lavoro, lasciandosi un po’ vivere alla giornata.
Probabilmente ha a che fare con la complessità del lavorare in maniera ibrida, o nella pervasività di alcuni strumenti digitali che hanno reso meno fluida la comunicazione e la collaborazione, travolgendoci con mille stimoli. Oppure alla difficoltà di identificare i meccanismi motivazionali che sono cambiati e stanno cambiando. Sicuramente si può parlare di questo “podio”, però, in maniera trasversale, indipendentemente dalla latitudine o dalla tipologia di azienda.
Naturalmente tutti sanno chi era tuo padre ed immagino che spesso ti chiederanno qual è la relazione tra 7 Habits e 7 Trap...
Mio padre è stato una fonte inesauribile di ispirazione e The 7 Habits of Highly effective people è ancora un testo assolutamente attuale.
Posso dire che, naturalmente al di là dell’analogia del numero, che abbiamo già citato, mio padre si è concentrato sulle buone abitudini, approcci da seguire per aumentare la propria efficacia, ha mostrato le forze trainanti, quelle che portano verso un risultato; il suo obiettivo era quello di aiutare le persone a lavorare sul proprio carattere, per ripristinare quella grandezza primaria che è costituita proprio da chi si è e non da quello che si ha o si fa.
Anche io, con Trap Tales mi propongo lo stesso obiettivo, quello di aiutare ad evolvere, a migliorarsi, come persona o come professionista, all’interno del proprio contesto, ma mi concentro sul riconoscere e rimuovere le cause che ci impediscono di raggiungere i nostri obiettivi.
Cerco di fornire un approccio che aiuti ad individuare quello che non ci consente di utilizzare tutto il nostro potenziale, che, partendo dagli stessi principi di 7 Habits, consenta di analizzare la realtà da un punto di vista molto concreto per eliminare quella frustrazione che noi proviamo quando, nonostante tutti i nostri sforzi, non riusciamo.
David, sai che l’ultima domanda di una intervista è sempre la più complicata. Mi piacerebbe farla, quindi, ad Alex, il protagonista del tuo libro.
Se gli chiedessimo quale parola chiave potrebbe meglio rappresentare il suo percorso di cambiamento, cosa ci risponderebbe?
Speranza. Ed io sono totalmente d’accordo con lui.