È nata 23 anni fa come mostra in cui il visitatore si affida alla guida di un non vedente e si muove nella totale oscurità. Oggi questa esperienza ha ispirato workshop formativi per manager.
di Roberto Monti, Sales Manager e Partner VisionMind
L’intervista a Franco Lisi è stata pubblicata dal trimestrale AIDP Direzione del Personale nel numero di marzo (a pag. 64). La Redazione di DdP ci ha gentilmente concesso la riproduzione.
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C'è un posto a Milano dove si impara a vedere oltre: si chiama Dialogo nel buio. Si tratta di un luogo in cui adolescenti, famiglie e organizzazioni aziendali vivono un'esperienza che li cambierà per sempre. Visitare Dialogo nel buio o partecipare ai suoi workshop non significa giocare a fare il cieco. Chi vive per qualche ora nel buio di Dialogo nel buio, potrà vedere di più, dentro di sé, dentro gli altri.
Abbiamo chiesto a Franco Lisi, non vedente, direttore di Dialogo nel buio all'Istituto dei Ciechi di Milano, di spiegarci in cosa consiste questa esperienza e che cosa lascia in chi la vive.
Ci può raccontare com'è nato Dialogo nel buio e di che cosa si tratta?
Questa mostra nasce dall'idea di Andreas Heinecke, un giornalista tedesco al quale nel 1986 venne richiesto di sviluppare un programma formativo per un collega che aveva perso la vista. Al primo incontro, Andreas si sentì turbato, ma rimase affascinato dal mondo dei non vedenti. Così nel 1986 ideò Dialogue in the dark, mostra che, dal 1988, fa il giro del mondo presso i più famosi musei ed è diventata addirittura un marchio registrato.
Nel 2003 Dialogo nel buio viene allestito a Palazzo Reale a Milano, dove riscuote un grandissimo successo grazie a un afflusso di 34mila visitatori in soli quattro mesi.
Nel 2005 l'Istituto dei Ciechi di Milano apre Dialogo nel buio all'interno del proprio complesso destinando 700 metri quadri all’allestimento della mostra.
Dopo ventitre anni di vita, Dialogo nel buio è presente in tutto il mondo con una ventina di location e ha dato vita a un network standard che ne fa un sistema collaudato.
Come avviene la visita a questa mostra e quali sono gli aspetti che emergono?
Siamo nel buio totale, un buio tecnico, dove i visitatori in piccoli gruppi sono invitati a entrare muniti di bastone bianco. I partecipanti, in una situazione di privazione della vista, si affidano alla guida non vedente, primo e unico riferimento, e vengono aiutati a riscoprire e apprezzare, con i sensi extra visivi, una realtà comunque conosciuta e familiare.
Il visitatore deve imparare a gestire il proprio stato d’animo e il proprio livello emotivo facendo leva proprio sull'intelligenza emotiva: il timore, l’ansia, l'adrenalina ma anche la curiosità e il coraggio, sono le reazioni più frequenti riscontrate nei visitatori.
Cosa insegna vivere questa esperienza?
Incredibilmente, il buio si svela come un luogo in cui ci si sente liberi dalla emozioni negative e più propensi al dialogo verbale: il buio, come è nell’immaginario collettivo, non è più considerato come ciò che imprigiona, come ciò che nasconde e circoscrive, ma si rivela, sorprendentemente, una dimensione di assoluta libertà.
In cosa si differenzia Dialogo nel buio dalle più diffuse esperienze formative aziendali?
Da diversi anni abbiamo sviluppato percorsi e workshop per le aziende dal potentissimo valore formativo. I workshop sono progettati appositamente per le aziende. Sono i risultati di anni di studio che hanno portato alla produzione di programmi formativi di altissimo valore.
L'esperienza di Heinecke, la nostra esperienza in Italia e l'esperienza di tutti i Dialoghi nel buio presenti nel mondo, ci incoraggiano a proseguire su questa strada, in considerazione soprattutto del crescente interesse riscontrato dai partecipanti e dalla domanda del mercato.
Ci racconti brevemente un format tipico di un workshop?
Innanzitutto proponiamo al management delle aziende di affrontare e superare le difficoltà che caratterizzano il buio, facendo vivere l’esperienza come metafora del cambiamento che inevitabilmente ogni azienda si trova di fronte.
Noi sappiamo che il cambiamento oggi è qualcosa che può far paura, che può indurre a non decidere, a stare fermi, a fare le cose che si conoscono, a non assumere iniziative in nome di una sicurezza terribilmente limitante. Tuttavia, dobbiamo fare i conti con il cambiamento, che nostro malgrado esiste. Durante i workshop i nostri clienti sono chiamati a svolgere attività nell’incertezza, individualmente o in sinergia con i colleghi, imparando a gestire e riconoscere il proprio stato d’animo, ad assumersi responsabilità, a condividere informazioni e risultati, in una dimensione in cui il proprio portato emotivo e la fiducia reciproca possono fare la differenza.
Nei nostri workshop, il dialogo costante costituisce le fondamenta della costruzione di un gruppo solido per il quale il rispetto reciproco e il senso di appartenenza conducono inesorabilmente al perseguimento di un obiettivo comune.
I facilitatori che conducono il workshop sono soprattutto responsabili del fatto che le attività esperienziali avvengano nel modo corretto favorendo una loro concettualizzazione, creando in tal modo significative analogie con il proprio contesto aziendale.
Un tuffo nell'incertezza
Quali sono le cose che fanno più paura in azienda? I cambiamenti, senza dubbio. Ci sono molte persone, anche valide, che non assumono iniziative perché hanno paura di quello che può accadere. Così, l'esperienza formativa di Dialogo nel buio può aiutare le persone ad affrontare e a superare difficoltà impreviste, a muoversi nell'incertezza gestendo le proprie senzazioni e i propri stati d'animo, a lavorare in gruppo per un obiettivo comune. Perché una cosa è certa: non bisogna mai smettere di imparare.
I workshop e i percorsi per le aziende sono standard?
I workshop che abbiamo a catalogo hanno più livelli di approfondimento, ma possono essere personalizzati consentendo lo sviluppo di una tematica piuttosto che un’altra: dalla gestione e riconoscimento del proprio stato d’animo, attività individuali che consentono di esprimere il proprio potenziale nascosto, alla costruzione del gruppo, da workshop tesi a valorizzare il significato di una comunicazione verbale e paraverbale chiara, efficace e inequivocabile, a quelli in cui ciascuno viene chiamato a decidere, ad assumersi responsabilità, a guidarsi, al fine di potersi proporre quale punto di riferimento, leader per tutti gli altri. Contrariamente a quanto si possa immaginare, molte realtà aziendali ci chiedono di progettare workshop allo scopo di abituare i propri dipendenti a lavorare in situazioni di stress, creando volutamente situazioni impreviste, cambi repentini di task, chiedendo flessibilità, reattività, e capacità di problemsolving in tempi ristretti.
Come vengono gestite queste situazioni?
I workshop di Dialogo nel buio generalmente hanno una durata complessiva di circa mezza giornata. Le attività possono essere individuali o di gruppo, al tavolo o in movimento e vengono individuate di volta in volta a seconda del tema prescelto. I conduttori del workshop lanciano le attività e invitano i partecipanti a svolgere i compiti osservando le regole di svolgimento. Al termine, vengono condotti debriefing per la valutazione dei risultati conseguiti.
Il debriefer che ha osservato lo svolgimento dell’intero workshop coadiuvato dal personale non vedente, identifica quali strategie sono state messe in atto nella conduzione delle attività e stimola uno scambio di riflessioni sulle sensazioni provocate dal buio e su come sono state condotte le attività, fornendo analogie con ciò che accade quotidianamente in azienda.
Possiamo dire che avete aperto un business che non esisteva, trovando un piccolo Oceano blu?
Non l’avevo mai considerato sotto questo profilo, ma sì, direi che di fatto è successo questo.
Può raccontarci un suo episodio o una sua reazione emotiva particolarmente significativa?
È capitato di lavorare con manager che non sono riusciti a partecipare al workshop subendo esageratamente il buio. Ho personalmente riscontrato un timore derivato da episodi accaduti nell’infanzia come i castighi al buio, ad esempio.
Una frequente reazione di stupore e sconforto si verifica in mancanza di risultati immaginati ma non raggiunti perché è venuta meno la fase di progettazione e di riflessione. Troppo spesso, oggi, nel mondo del lavoro, si deve fare i conti con la velocità e con i tempi ristretti per il raggiungimento degli obiettivi, imponendo immediatamente l’azione e riducendo notevolmente la fase preliminare di analisi.
C'è un netto recupero della percezione del non dare nulla per scontato in queste esperienze?
In genere dall'esperienza si esce cambiati. La fase di debriefing aiuta i partecipanti a compiere il passaggio da un livello irrazionale a un livello di consapevolezza, ed è qui il valore dell'esperienza di formazione. Oggi, è altrettanto importante avere capacità e abilità emotiva all'interno di un'organizzazione aziendale. E allora anche questo tipo di esperienza aiuta a ragionare dal punto di vista umano, aiuta a capire quanto è importante oggi sviluppare competenze sociali. Quando mi presentano il curriculum non è più sufficiente chiedere cosa sai fare ma come lo fai, chi sei, chi c'è dietro questo profilo. Se c’è dialogo non c’è buio.