Ne parlano tutti, ma pochi affrontano il tema in modo approfondito. Ecco una storia di successo firmata da un gruppo bancario di primo piano in cui il cambiamento ha un ruolo centrale.
di Roberto Monti, Sales Manager e Partner VisionMind
L’intervista a Natalia Musazzi e Dario Resnati è stata pubblicata dal trimestrale AIDP Direzione del Personale nel numero di marzo (a pag. 55). La Redazione di DdP ci ha gentilmente concesso la riproduzione.
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Il posto fisso in banca, ovvero… l’ultimo dogma del mondo lavorativo, le colonne d’Ercole prima del caos totale. Eppure è crollato anche quello: non esiste più. Ora siamo davvero senza più certezze. Scherzi a parte, quello che nell’immaginario collettivo era un obiettivo professionale, e nei più calorosi consigli dei nostri nonni e genitori un simbolo di conquista di certezza e stabilità, si è disintegrato negli ultimi anni sotto i colpi di una crisi che davvero non ha risparmiato alcun settore.
Una crisi che sta minando alla base i nostri paradigmi e ci costringe a ripensare il nostro modo di lavorare e a mettere in discussione i presupposti su cui sono fondate le nostre organizzazioni. Nel comparto bancario tutto questo sta portando uno stravolgimento, la cui portata e il cui impatto sono inversamente proporzionali alla capacità delle singole strutture di affrontare il cambiamento e di reagire coerentemente a strategie chiare e condivise.
Ovviamente l’impatto sulla gestione delle umane risorse è altrettanto importante e ogni organizzazione ha il proprio specifico modo di leggerlo e di guidarlo. Ne abbiamo parlato con Natalia Musazzi, Head of recruiting, learning and development per BNP Paribas e Local innovation leader per BNP Paribas Securities Services, e con Dario Resnati, Global head of innovation for BNP Paribas Securities Services, che all’interno del gruppo BNP Paribas si occupano in Italia e nel mondo proprio di guidare l’innovazione e il cambiamento.
Come sta cambiando il mondo bancario e quali sono gli impatti sulla gestione delle persone?
Natalia Musazzi - La congiuntura economica negativa attuale, che permane ormai da qualche anno e non sembra dare segnali confortanti per il futuro, non rende facile il connubio tra il miglioramento dell’efficienza da un lato (che si traduce in una continua richiesta di abbattimento dei costi) e gestione “innovativa” delle persone.
Viviamo una sorta di contraddizione interna dove da un lato si riconoscono creatività e innovazione come valori indispensabili per far fronte alla complessità sempre maggiore che caratterizza il settore finanziario, e dall’altro vengono poi a mancare le condizioni pratiche (e a volte la volontà) per agire davvero in modo innovativo.
La conseguenza di ciò è che non vengono veramente messi in discussione paradigmi consolidati e radicati, che non sono più adatti a gestire la complessità e i cambiamenti sempre più repentini che segnano la nostra epoca.
In BNP Paribas siamo riusciti a far breccia nel muro e a sollevare molta attenzione sui temi di innovazione e creatività da parte del top management italiano e dei collaboratori della banca in generale, ma la strada da percorrere è ancora molto lunga: spesso l’ottica del business, soprattutto in questo momento difficile, ragiona più nel breve periodo che nel lungo e fa fatica a uscire dai canoni usuali di pensiero o azione. Naturalmente la conseguenza di questo è che l’innovazione, con la I maiuscola, stenta ad accendersi realmente.
Dario Resnati - Sono d’accordo: troppo continuous improvement focalizza la nostra attenzione sul guadagnare efficienza, impedendoci di mettere in discussione le assunzioni di base. Inoltre una forma mentale data driven può incoraggiare i manager a ignorare intuizioni o anomalie e a concentrarsi su questioni orientate all’esecuzione e ai costi sin da subito, impedendo così l’esplorazione di idee e di sperimentazioni che non possono essere giustificate con le metriche “tradizionali”.
Il cambiamento che viene da Oriente
Il miglioramento continuo è una strategia di gestione aziendale che riprende i principi del kaizen, pratica di ispirazione giapponese (da kai, cambiamento, e Zen, migliore) che si propone di rendere efficiente la produzione e contenere i costi. Il kaizen nasce con la Seconda guerra mondiale, quando le forze d’occupazione statunitensi portarono in Giappone alcuni esperti in business management per aiutare la ricostruzione dell’industria locale. Il kaizen viene nuovamente ripreso in Occidente grazie ai successi commerciali dell’industria giapponese a partire dagli anni Duemila.
Lavorate in un gruppo tra i più consolidati e meglio performanti nel panorama europeo. Qual è lo stato di salute del rapporto tra la branch italiana e la casa madre?
Natalia Musazzi - È complicato gestire i rapporti con la casa madre quando si lavora in un gruppo così differenziato, sia in termini di business gestiti sia rispetto al differente numero di dipendenti tra gli uffici locali e quelli centrali. Parigi è comunque molto presente e direi che esiste un buon mix fra le guideline e le iniziative centrali e l’autonomia delle diverse sedi, naturalmente sempre in un’ottica di rispetto di alcune macro policy di gruppo.
Parigi si sta focalizzando molto sulle tematiche manageriali e sta cercando di diffondere un forte messaggio verso tutte le location, rivolgendosi soprattutto alla comunità dei senior manager. Un messaggio che sottolinea l’importanza sostanziale dei temi di gestione delle persone e la creazione di una cultura manageriale di gruppo fondata sui quattro principi manageriali: lead by example, risk aware enterpreneurship, client focus, people care.
Dario Resnati - Lo sforzo di integrazione reciproca e di sviluppo di una consapevole interculturalità mi porta a rispondere che lo stato di salute dei rapporti è buono, in costante miglioramento.
Quali sono i progetti più significativi che avete gestito nei rispettivi ruoli negli ultimi due anni? Quali risultati hanno portato e quali non sono riusciti a cogliere completamente?
Natalia Musazzi - Dario ha iniziato a percorrere la strada della formazione legata all’innovazione ancor prima che io arrivassi come Responsabile formazione per il Polo IS. Ho quindi continuato il lavoro di training da lui impostato, volto a formare sempre più persone sul tema creative problem solving fino ad arrivare a essere insieme Master trainer per il gruppo.
Quest’anno il lavoro sulla formazione, anche grazie ai fondi Fba, è poi continuato con due diversi progetti: il primo ha avuto l’obiettivo di formare un centinaio di persone sull’uso delle mappe mentali, introdotte in banca come nuovo tool innovativo, e il secondo ha invece portato in aula tutti i manager della banca per riflettere e ragionare insieme sul concetto di fiducia.
I risultati sono stati notevoli e tangibili da un doppio angolo prospettico: in termini di diffusione interna di una cultura diversa, fondata più sulla fiducia, sull’apertura, sul non giudizio, sulla libera circolazione delle idee da un lato, e in termini concreti di introduzione di un nuovo modo di lavorare dall’altro. Posso affermare infatti che oggi in BNP Paribas si sono avviati diversi cantieri che stanno lavorando a obiettivi professionali innovativi.
Dario Resnati - I risultati sono a mio avviso considerevoli sul piano delle relazioni e delle modalità di approccio ai problemi e alle relative soluzioni. Si è ora molto più aperti, attenti all’ascolto, pronti ad accettare idee divergenti, evitando discussioni estenuanti in meeting infiniti. Ovviamente il livello di apprendimento, ma soprattutto il livello di applicazione di quanto appreso nella worklife di tutti i giorni varia di molto e, alla luce dei risultati tangibili in termini di performance, la percentuale di scettici sta via via diminuendo.
Avremmo forse potuto conseguire più ampi risultati perseverando ancora di più nel percorso formativo e di coaching. Queste metodologie hanno l’obiettivo di cambiare il modo in cui approcciamo i problemi e le situazioni difficili. Sappiamo tutti che cambiare è difficile e ancor più lo è quando si è sotto pressione su temi lavorativi. L’applicare consapevolmente queste tecniche ci consente di interiorizzarle e farle diventare il nostro modo di operare. Ci stiamo lavorando, ma l’attenzione del gruppo su questi temi è sempre molto alta.
Mi fido o no?
Cambiare richiede fiducia. Ma cosa ci induce a fare affidamento sugli altri? Una ricerca condotta dalla psicologa Marilynn Brewer dell’Ohio State University (Usa) ha rivelato che ci sono differenze tra i sessi: gli uomini si fidano di più di chi condivide i loro stessi interessi o appartiene alla medesima categoria professionale. Le donne invece tendono a fidarsi di più degli estranei con cui vengono in contatto attraverso il loro giro di conoscenze. Alle signore non occorre avere molte informazioni per farsi un’idea dell’affidabilità di una persona: il loro cervello impiega circa dieci secondi per elaborare un’impressione generale. Per poi decidere se fidarsi o no.
Dal vostro osservatorio, i manager di oggi hanno la preparazione e la maturità per fronteggiare le sfide attuali e future?
Dario Resnati - La complessità aumenta esponenzialmente sia in ambito lavorativo che nella sfera personale, e ci si trova sempre più spesso ad affrontare situazioni nuove e non molto ben definite, con pochi dati a disposizione: in queste situazioni l’esperienza e la preparazione accademica non sono sufficienti; occorre saper accedere alla creatività necessaria per trovare nuove vie e nuove soluzioni. A volte i manager si ostinano ad affrontare le situazioni sempre nello stesso modo, ma il mondo cambia troppo velocemente per pretendere di approcciarlo in maniera sempre uguale.
Natalia Musazzi - Mi riesce molto difficile dare una risposta universale a questa domanda. Direi invece che la differenza la fa la singola persona: come accennavo prima, ormai la complessità in cui siamo immersi è tale per cui non basta più l’esperienza passata per fronteggiare le sfide di adesso. Ciò che abbiamo fatto ieri non è detto che vada bene oggi, anzi nella maggior parte dei casi non vale più. Alcuni manager sono più illuminati di altri e reagiscono nel modo più costruttivo, accettando di mettersi in discussione, mentre altri si arroccano sulle posizioni di sempre.
Quali sono i progetti sui quali state lavorando che a vostro avviso potranno avere i migliori impatti sulle persone e sulle loro performance?
Dario Resnati - La fiducia è un tema centrale per riuscire a creare un ambiente realmente collaborativo e innovativo: questo è uno dei temi essenziali di sviluppo della leadership.
Quali sono le tematiche relative allo sviluppo e alla crescita delle persone che secondo voi non sono state ancora affrontate e che invece meriterebbero di esserlo? Quali i punti di attenzione?
Natalia Musazzi - A mio avviso uno dei punti cruciali nella gestione delle persone della banca è l’individuazione e la gestione dei talenti: ancora oggi noto che, per quanto riguarda l’identificazione dei talenti, troppo è lasciato alle valutazioni soggettive ed empatiche dei manager.
Nonostante da qualche anno si siano introdotte alcune guideline specifiche e si sia disegnato un processo più strutturato per ovviare a questo problema, ancora non è stata introdotta una vera e propria metodologia volta ad oggettivizzare il più possibile la scelta dei talenti, che avviene per lo più sulla base di sensazioni e valutazioni soggettive.
Inoltre, anche in tema di gestione dei talenti, credo ci siano sicuramente spazi di miglioramento. Spesso alcune lodevoli iniziative e programmi ad hoc di leadership, di coaching, di mentoring, non hanno poi il dovuto follow up e rischiano di creare aspettative che vengono quindi disattese, lasciando un senso di frustrazione nelle persone identificate come talenti, che dovrebbero invece essere la parte più motivata e curata dei nostri collaboratori.
Dario Resnati - Più che di tematiche io mi preoccuperei di come tradurre in comportamenti i concetti sui quali si lavora durante i vari corsi manageriali e di crescita personale: quello che a volte emerge è la frustrazione di partecipare a workshop di spessore e coinvolgenti e di non riuscire a portare nella propria quotidianità tutto il valore aggiunto acquisito.
Il contesto, il rapporto con i propri capi, reali barriere organizzative, rendono faticosa questa traduzione nell’operatività con ricadute negative sulla motivazione. Sono stati fatti passi in avanti importanti su questo aspetto, ma certo l’attenzione deve essere continuamente posta sulla condivisione di concetti e pratiche sulle quali si vuole puntare e sulla conseguente creazione di un clima favorevole alla loro messa in atto, rimuovendo eventuali ulteriori ostacoli».
Come dovrà cambiare il vostro mestiere nei prossimi tre anni? Qual è la vostra percezione in merito?
Natalia Musazzi - I messaggi che ci arrivano dall’alto tracciano effettivamente uno scenario che va verso una crescente attenzione nell’utilizzo delle risorse a 360° e credo che a maggior ragione, proprio per questo, dovremo lavorare sempre più di fino sul fronte dell’innovazione e del cambio di paradigma.
Per finire, quali sono le tre cose che chiunque (e a qualunque livello) gestisca persone deve saper fare bene per potersi definire a buon diritto un manager, o addirittura un leader?
Natalia Musazzi - Walk the talk: incarnare nel comportamento e nella pratica quotidiana ciò che diciamo e predichiamo è fondamentale. Ascoltare le persone e i propri collaboratori con apertura e senza giudizio in modo da farli sentire sempre liberi di proporre un’idea senza che sentano il timore di commettere un errore senza ritorno: così si crea un ambiente davvero fertile all’innovazione.
Infine, avere sempre chiaro quali sono i propri obiettivi e la strategia per indirizzare le proprie scelte, anche le più impopolari: solo così un buon manager può definire dei piani di successo e operare in un’ottica di efficace problem solving strategico.
Dario Resnati - Totalmente d’accordo. Aggiungo, dal mio angolo di osservazione, la capacità di ispirare le persone, di porle in condizione di liberare il loro talento, di costruire in sintesi un ambiente e un clima realmente stimolante, passionale, innovativo, coinvolgente. Senza mente e cuore non andiamo da nessuna parte.